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La ballata del vecchio marinaio

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    maldoror.
    Post: 71
    00 28/12/2008 13:33
    di Samuel Taylor Coleridge
    Se devo essere sincero io non sono un gran lettore di poesia, ammetto di preferire abbastanza la prosa, ma questa è una delle pochissime opere poetiche per le quali ho un'adorazione sconfinata (l'altra è I canti di Maldoror, di cui penso che parlerò anche al più presto, ma ancora devo finire di leggerlo [SM=g7940] ), sarà che io ho proprio un debole per l'onirico e l'allucinatorio.
    Il significato di questa ballata di Coleridge, considerata come uno dei capolavori e delle opere più rappresentative del Romanticismo, è considerato tutt'ora abbastanza un'enigma, e forse ciò è dovuto alla sua natura probabilmente allucinatoria (Coleridge era notoriamente un oppiomane), impressione che ho avuto fin dai primi versi che mi è capitato di leggere.
    L'interpretazione più accreditata finora, ammesso che sia realmente possibile stabilire un nesso fra significante e significato, è quella cristologica , secondo la quale l'albatro che prima indica la via all'uomo e poi viene ucciso inspiegabilmente dal marinaio starebbe a simboleggiare appunto Cristo.
    Diciamo che si tratta di una storia di colpa e redenzione, che credo che si possa prestare a diverse letture, solo che per adesso so' stanco, al più presto penso che approfondirò un po' di più la questione e magari riporterò qalche passo dall'opera stessa [SM=g7576]
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    sgubonius
    Post: 133
    Città: MILANO
    00 28/12/2008 13:42
    L'avevo letta in inglese, un inglese anche abbastanza ostico, però non mi ricordo molto. Anzi mi han fatto ricordare di un problema che volevo porre e lo farò subito riguardo la traducibilità della poesia in un topic apposito!

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    "La vita è una festa... viviamola insieme"
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    maldoror.
    Post: 71
    00 28/12/2008 18:09
    Vi riporto qua le prime tre parti dell'opera.


    Un vecchio marinaio incontra tre giovani, invitati

    ad una festa di nozze, e ne trattiene uno.


    È un vecchio marinaio

    e ferma uno dei tre.

    "Per il barbone grigio, per l'occhio scintillante,

    perché mi vuoi fermare?

    Si aprono le porte in casa dello sposo,

    sono un parente stretti.

    Già gli ospiti son qui, la festa già comincia:

    non senti l'allegria e il baccano?"

    Lui lo trattiene con la scarna mano:

    "C'era una nave" dice.

    "E smettila, va' via con la tua barba grigia, lazzarone!"

    La mano cade subito.



    Lo trattiene con l'occhio scintillante:

    si ferma il convitato

    ascolta come un bimbo di tre anni;

    il marinaio ottiene ciò che vuole.

    Il convitato siede su una pietra:

    e ascolta, non ha scelta;

    così parla quel vecchio marinaio

    dagli occhi luccicanti.

    "Abbandonato il porto tra i saluti

    allegramente scivolammo via

    sotto la chiesa, sotto la collina

    e la cima del faro.



    Sorgeva il sole a manca,

    veniva su dal mare!

    Splendeva luminoso e sulla destra

    nel mare sprofondava.

    Ogni giorno più alto, più alto, e a mezzogiorno

    perfino sopra l'albero"

    Il convitato ascolta, ed è impaziente:

    sente giungere il suono del fagotto.



    È apparsa la sposa nella sala,

    rossa come una rosa;

    l'accompagnano muovendo la testa

    gli allegri musicanti, e le fan strada.

    Il convitato ascolta ed è impaziente,

    ma non ha scelta, no, deve ascoltare;

    così parla quel vecchio marinaio

    dagli occhi luccicanti



    "Esplose allora la tempesta, ed era

    forte, violentissima.

    Ci raggiunse e colpì con le sue ali,

    ci spinse verso sud.

    Con gli alberi inclinati e con la prua sommersa,

    rapida la nave procedeva

    come chi inseguito con furia e urla

    prosegue ancora all'ombra del nemico

    e avanti piega il capo.

    Ruggiva forte la tempesta, e intanto

    noi fuggivamo sempre verso sud.

    Allora insieme vennero

    neve e bruma, e un freddo straordinario,

    e ci veniva incontro galleggiando

    ad alti blocchi ghiaccio verde come smeraldo



    Rupi innevate, attraverso il turbine,

    rilucevano cupe:

    non scorgevamo forme di uomini, né bestie.

    Soltanto ghiaccio intorno.

    Ghiaccio, ghiaccio, dappertutto, qua e là,

    e intorno sempre ghiaccio:

    si spaccava e gemeva, e gridava e ululava,

    come giungono i suoni a chi è svenuto.



    E finalmente incrociammo un albatro

    venuto nella nebbia;

    come se fosse un'anima cristiana

    nel nome del Signore lo accogliemmo.

    Conobbe un nuovo cibo,

    a lungo volò attorno.

    Il ghiaccio si spaccò con un boato;

    nel varco ci condusse il timoniere!



    E un vento favorevole, da sud, ci spinse rapido;

    l'albatro ci seguiva,

    e per mangiare o giocare, ogni giorno

    veniva al richiamo dei marinai.

    Con la bruma o la nuvola, sulla sartia o sull'albero

    nove sere venne ad appollaiarsi

    mentre tutte le notti biancheggiava

    la luce della luna nella nebbia."


    Il vecchio marinaio, inospitale, uccide l'uccello

    sacro del buon augurio.


    "Che Dio ti salvi, vecchio marinaio,

    dai demoni che tanto ti tormentano!...

    Perché guardi così?" - "Con la balestra

    uccisi...uccisi l'ALBATRO.





    Parte seconda



    Ora il sole sorgeva sulla destra

    e usciva il mare

    velato ancora di foschia. A sinistra poi ripiombava in mare.

    E soffiava favorevole ancora

    da sud il vento, e più non ci seguiva il dolce uccello, e non veniva più a mangiare o giocare,

    dai marinai chiamato.


    I compagni se la prendono col vecchio marinaio,

    perché ha ucciso l'uccello del buon augurio


    Una cosa infernale avevo fatto,

    una sventura adesso li attendeva:

    secondo tutti avevo ucciso l'Albatro

    che portava la brezza.

    "Empio" dissero "abbattere l'uccello che portava la brezza!"


    Ma quando la nebbia si dirada, lo giustificano,

    e così si fanno complici del crimine


    Ma non opaco, non rosso: glorioso

    il sole si levò, come il capo di Dio.

    Avevo ucciso -dissero-

    l'uccello che portava la nebbia e la foschia.

    "E' giusto abbattere gli uccelli" dissero "che portano nebbia e foschia."

    Spirava lieve la brezza, la spuma

    si sollevava bianca, la scia ci seguiva;

    noi fummo i primi a irrompere

    nel silenzioso mare.

    La brezza cadde, caddero le vele:

    fu triste, triste quanto poteva essere triste;

    noi parlavamo solo per infrangere il silenzio del mare!

    In un cielo di rame

    arso, un sole di sangue

    stava a picco a mezzogiorno sull'albero

    e non era più grande della luna.

    Per lunghi giorni, un giorno dopo l'altro,

    restammo senza vento, lì, immobili

    fermi come una nave

    dipinta su un oceano dipinto.


    E l'Albatro comincia ad essere vendicato


    Soltanto acqua intorno,

    si torceva ogni tavola.

    Soltanto acqua intorno,

    per la nostra sete neanche un goccio.

    L'abisso stesso imputridiva.

    Che dovesse accaderci una tal cosa!

    Su zampe esseri viscidi strisciavano

    per il viscido mare.

    Intorno, intorno, in ridda indiavolata

    fuochi fatui danzavano la notte;

    come un olio di streghe s'infiammava

    - verde, blu, bianca - l'acqua.


    Uno Spirito li aveva seguiti; uno

    degli invisibili abitanti di questo pianeta,

    né anime defunte né angeli. Riguardo

    a essi, si potrebbero consultare

    il dotto ebreo Giuseppe e il platonico

    costantinopolitiano Michele Psello.

    Sono molto numerosi, e non c'è clima o

    elemento che non ne abbia almeno uno.


    E qualcuno sognando ebbe certezza

    dello Spirito che ci tormentava;

    la nostra nave aveva accompagnato,

    a nove braccia di profondità,

    fin dalla terra di bruma e di neve.

    E ogni lingua nell'arsura estrema

    seccava alla radice.

    Non potevamo più parlare, come

    se nella gola avessimo fuliggine.

    Ah, che giornata! Quali occhiate orribili

    giovani e anziani mi lanciavano!

    Invece della croce,

    attorno al collo mi fu appeso l'Albatro.



    Parte terza



    Ci logorava il tempo trascorrendo.

    Ogni gola era secca,

    gli occhi di tutti vitrei.

    Fu un tempo logorante! Fu un tempo logorante!

    Com'era vitreo ogni occhio stanco!

    Quando scorsi qualcosa nel cielo a occidente.

    Prima sembrava una piccola macchia

    poi sembrava una nebbia,

    e si muoveva, si muoveva, e infine

    prese forma certa, lo giuro.

    Una macchia, una nebbia, una forma - lo giuro -

    e ci si avvicinava, e ci si avvicinava:

    come a sfuggire un fantasma marino,

    s'immergeva, bordeggiava, virava.

    Con gola assetata, le labbra nere secche,

    non potevamo né ridere né gemere;

    per la completa arsura fummo muti.

    Così mi morsi il braccio e succhiai sangue

    e gridai: "Una vela!C'è una vela!"

    Con la gola assetata, le labbra nere secche,

    stupefatti mi udirono gridare.

    "Sia ringraziato Dio!" gioirono eccitati.

    Profondamente, all'improvviso, tutti

    come stessero bevendo respirarono.

    "Guardate, non bordeggia più" gridai.

    "E' qui per darci aiuto;

    senza un soffio di vento né corrente

    con la chiglia diritta si avvicina!"

    Il mare a occidente fiammeggiava.

    Il giorno era al tramonto.

    quasi a picco sul mare a occidente

    un grande sole stava, luminoso;

    quando improvvisamente quella forma

    strana si pose tra noi e il sole.

    Il sole presto si rigò di sbarre

    (Madre del cielo aiutaci!)

    come se da una grata di prigione

    scrutasse con la grande faccia ardente.

    Ahimè (pensavo e avevo il batticuore)

    com'è vicina e come avanza rapida!

    Sono sue quelle vele che nel sole

    occhieggiano - vibranti ragnatele?

    Sono sue le fiancate da cui il sole

    scrutava come attraverso una grata?

    E quella donna è tutto il suo equipaggio?

    E quella, l'altra, è MORTE, e sono in due?

    E' MORTE che fa coppia con la donna?

    Le labbra aveva rosse e gli occhi impavidi,

    e la chioma era bionda come l'oro:

    ma aveva la pelle bianca di lebbrosa;

    lei, lei era l'incubo VITA-IN-MORTE

    che fa gelare il sangue nelle vene.


    Morte e Vita-in-morte si son giocati l'equipaggio ai dadi,

    e lei (la seconda) vince il vecchio marinaio


    Mentre la nuda carcassa avanzava

    le due figure gettavano i dadi:

    "Il gioco è fatto! Ho vinto, ho vinto io!"

    la donna disse, e tre volte fischiò.

    Scomparve il sole e uscirono le stelle

    fu buio all'improvviso;

    sul mare con un mormorio lontano

    si dileguava la nave spettrale.

    Ascoltavamo e scrutavamo intorno!

    La paura sembrava sorseggiarmi

    dal cuore il sangue come da una coppa.

    Le stelle erano opache, e densa era la notte.

    Il volto del nocchiero biancheggiava

    illuminato dalla sua lanterna.

    Dalle vele rugiada gocciolava:

    d'un tratto ad est la falce della luna

    si levò, con una stella splendente

    presso la punta in basso.

    A uno a uno sotto luna e stella,

    senza il tempo di sospirare o gemere,

    con orribile spasimo volgevano

    il viso, e con lo sguardo

    ah, tutti quanti mi maledicevano.

    Quattro volte cinquanta uomini vivi

    (e non udii un gemito o un sospiro)

    con grave tonfo- massi senza vita -

    a uno a uno caddero per terra.

    Le anime fuggirono dai corpi:

    volavano alla pena o alla gioia.

    Ciascuna mi sfiorava con un sibilo

    simile a quello della mia balestra!


    Fonte:www.valsesiascuole.it