Matteo Garrone

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maldoror.
00venerdì 26 dicembre 2008 21:37
(1968-vivente)
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FILMOGRAFIA
Terra di mezzo (1997) con Gabriella Aru, Mario Colasanti, Giacomo De Martino, Gertian Durmishi
Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni (1998) Documentario con Oreste Pipolo
Ospiti (1998) con Corrado Sassi, Pasqualino Mura, Paolo Rota, Llazar Sota
Estate romana (2000) con Salvatore Sansone, Rossella Or, Monica Nappo
L'imbalsamatore (2002) con Ernesto Mahieux, Valerio Foglia Manzillo, Elisabetta Rocchetti, Lina Bernardi
Primo amore (2003) con Vitaliano Trevisan, Michela Cescon
Gomorra (2008) con Toni Servillo, Salvatore Cantalupo

Fonte:it.wikipedia.org


Vabbè va, ho deciso di cancellare quello sproloquio un tantino inconcludente che avevo scritto prima, perchè in quel modo era impossibile che potesse nascere una qualunque discussione su Garrone; adesso quindi cerco di sintetizzare i punti principali che volevo sostenere ma in maniera un tantino più umana.

Io credo innanzitutto che Garrone sia una delle (poche) personalità registiche più interessanti del cinema italiano degli ultimi anni.
La sua originalità secondo me consiste soprattutto nell'avere elaborato un linguaggio cinematografico apparentemente assimilabile a quello di un documentario, ma con finalità ben diverse da quelle documentaristiche. Nei suoi film infatti pare abolita la messinscena, gli attori sembrano non recitare, mantenendo fra l'altro la loro inflessione dialettale, ma l'apparente secchezza dello stile, e quindi quello che potrebbe sembrare come un realismo scheletrico, in realtà è un modo per Garrone di captare delle tensioni che fanno parte della nostra realtà e che si agitano sotto di essa, senza che noi ce ne accorgiamo.
La messinscena di Garrone sembra elementare, così come le sue storie, ma quello che gli interessa cogliere attraverso l'osservazione dei comportamenti più elementari, del modo di relazionarsi fra i personaggi, sembra essere il modo in cui attraverso tali comportamenti, emerga sempre una sorta di patologia, una sorta di mostruosità che ormai è entrata a far parte della normalità, e alla quale siamo ormai assuefatti.
Dunque, la mancanza di una messinscena e lo stile quasi documentaristico, a mio avviso, servono a Garrone proprio per cogliere questo quid, questo qualcosa di marcio e di malato, questa tensione che infatti sembra di respirare in ogni sua inquadratura, e che facendo un po' più di attenzione, forse potremmo accorgerci di quanto faccia ormai parte della nostra realtà.
Rayion.
00sabato 3 gennaio 2009 20:10
Riguardo a quello che dice maldoror, quando dici: "...questo qualcosa di marcio e di malato, questa tensione che infatti sembra di respirare in ogni sua inquadratura, e che facendo un po' più di attenzione, forse potremmo accorgerci di quanto faccia ormai parte della nostra realtà" è impossibile a mio parere non pensare a uno dei suoi film più riusciti e che sintetizzano quello che è stato detto poco prima: "Primo Amore"

Con "Primo Amore" e qui in particolare mi voglio soffermare, Garrone mostra quanto può diventare allucinata e allucinante la visione di quello che possiamo ritenere normale, di quello che possiamo ritenere vicino a noi.
Il limite in questo film viene spinto con la messa in scena della "Michela Cescon" così privo di sentimenti e fascino, arrivando a un punto di rottura perfino nella rappresentazione del corpo stesso sulle tele. La ricerca delle sensualità viene deviata e lo spettatore comprende l'immagine di un corpo sofferente.
Questo lo dice Garrone improntando sulla recitazione del corpo dei due personaggi, facendo parlare entrambi e mostrando un'ossessione che risulterà poi "cosa" di tutti.
Anche in precedenza con "L'imbalsamatore" era stato affrontato un lavoro non troppo dissimile dal regista e per questo giustamente valutato.
Tuttavia personalmente non sono rimasto soddisfatto appieno con l'ultimo: "Gomorra".
Film molto valutato giustamente criticato, rappresenta in maniera giusta e priva di censure una parte di mondo che Garrone stesso ha voluto mostrare, ottenendo un buon lavoro senza dubbio da quel punto di vista. Ma è proprio per il genere da cui lui si è discostato in questo caso che non ho apprezzato molto quest'ultimo suo lavoro, sebbene risulti un film molto riuscito nel suo intento.
Il Garrone più "labirintico", più ossessionante, più distaccato, più morboso, risulta forse a questo punto più interessante per quello che lui dice.
maldoror.
00domenica 4 gennaio 2009 11:06
Se ho capito bene quello che dici (perchè non ne sono sicurissimo [SM=g7940] ), questo era appunto l'aspetto del cinema di Garrone che volevo sottolineare: l'orrore che fa ormai parte della nostra realtà, e di cui non ci accorgiamo in quanto assuefatti ad esso, e che pertanto scambiamo addirittura per normalità. Suppongo che ti riferissi a questo quando parlavi del corpo della Cescon, che lei stessa a un tratto si accorge essere "sofferente" una volta vistasi ritratta sulle tele.
Secondo me questa scena rimanda a qualcosa che accade spesso in Garrone: le storie d'amore che lui mette in scena, sono infatti scarnificate, spogliate di qualunque coinvolgimento emotivo, de-sublimate, il sentimento dell'amore si riduce ad essere puro attaccamento vischioso; e in questo contesto, l'amore stesso si confonde con la malattia, il patologico (vedi anche L'imbalsamatore, oltre che il film citato).
Io sono abbastanza convinto di due cose, anche se ancora non sono del tutto chiare nella mia testa: innanzitutto, che quella messa in scena da Garrone, e che traspare dai rapporti umani fra i suoi personaggi, sia quella che Marcuse chiamava de-sublimazione; cioè, quella repressione e frustrazione della pulsione libidica, dell'impulso al crearsi piacere, all'autogratificazione, messa in atto dalla società dei consumi, che compenserebbe tale repressione con l'introduzione di costumi sessuali sempre più liberi, e con un bombardamento sempre più massiccio di immagini rimandanti a una dimensione sessuale sempre più disnibita e libera; naturalmente non dico che Garrone voglia parlare di questo, ma che l'occhio della sua cinepresa riesca a catturare proprio questo aspetto della nostra realtà; infatti, secondo me, la scarnificazione del sentimento dell'amore presente nei suoi film rimanda proprio a questa dimensione de-sublimata, così come il sentimento dell'orrore che viene a palesarsi nel rapporto interpersonale, orrore al quale siamo ormai assuefatti e che percepiamo come normale (si pensi anche alla facilità con la quale il ragazzo si "concede" sessualmente al "nano" ne L'imbalsamatore), è probabile che sia il risultato di quella repressione della sfera libidica, e dell'alienazione di tale impulso da sè, repressione che comporterebbe quindi una frustrazione, de-sensibilizzazione e quindi abbrutimento emotivo, da qui l'assuefazione all'orrore (forse sto dicendo un mucchio di cazzate, ma questa è la sensazione che mi danno i film di Garrone).
In secondo luogo, ho come l'impressione che ci sia una corrispondenza fra tale dimensione del sentimento de-sublimato, e la messinscena di Garrone, cioè la non-messinscena; insomma, è come se la forma cinematografic andasse anch'essa incontro ad una desublimazione, non riuscendo più a raggiungere la dimensione finzionale, a creare coinvolgimento emotivo nello spettatore attraverso la finzione.
Ora, se le cose stanno così, io credo che in realtà Gomorra non costituisca un allontanamento dalla sua poetica precedente, ma casomai la naturale evoluzione, perchè qui si assiste proprio a un grado zero della messinscena e dell'umanità (la camorra).
Forse non è un caso che Garrone risulti attratto proprio da quelle ritualità e da quei luoghi tipici della società del benessere (vedi i camorristi che si fanno le lampade all'inizio di Gomorra).
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