La Nausea (1938)

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sgubonius
00domenica 28 dicembre 2008 15:31

Continuo la mia crociata contro maldoror con un altro capolavoro letterario del novecento!


Ecco qua una pagina straordinaria:

Sembra che si cominci dal principio: «Era una bella serata dell'autunno 1922. Io ero scrivano di un notaio a Marommes». E in realtà si è cominciato dalla fine. La fine è lì, invisibile e presente, ed è essa che dà a queste poche parole l' enfasi e il valore d'un inizio: «Passeggiavo, ero uscito dal villaggio senza accorgermene, pensavo ai miei imbarazzi finanziari». Questa frase, presa semplicemente per quello che è, vuol dire che questo tale era assorto, afflitto, a mille miglia da un'avventura, precisamente in quel particolare stato d'animo nel quale si lasciano passare gli avvenimenti senza vederli. Ma la fine è lì presente a trasformare tutto. Per noi questo tipo è già l'eroe della storia. La sua tetraggine, i suoi imbarazzi finanziari sono ben più preziosi dei nostri, sono tutti indorati dalla luce delle passioni future. Ed il racconto prosegue a ritroso: gli istanti hanno cessato d'ammucchiarsi a casaccio gli uni sopra gli altri, sono ghermiti dalla fine della storia che li attira, e ciascuno di essi attira a sua volta l'istante che lo precede: «Annottava, la strada era deserta». La frase è gettata là, negligentemente, ha un'apparenza superflua, ma noi non ci lasciamo ingannare e la mettiamo da parte: è un'informazione di cui comprenderemo il valore in seguito. Ed abbiamo la sensazione che l'eroe ha vissuto tutti i particolari di questa notte come presagi, come promesse, o anche ch'egli abbia vissuto soltanto quelli che erano promesse, cieco e sordo per tutto ciò che non annunciava l'avventura. Dimentichiamo che l'avvenire non c'era ancora; quel tale passeggiava in una notte senza presagi, che gli offriva alla rinfusa le sue ricchezze monotone, ed egli non sceglieva."
Avrei voluto che i momenti della mia vita si susseguissero e s'ordinassero come quelli d'una vita che si rievoca. Sarebbe come tentare di prendere il tempo per la coda.




Alla fine del romanzo, la nausea è accettata come esistenza stessa ("la nausea non era più una malattia, ero io stesso" magari ti ricorda il finale di un qualche film da me amato!), mediante una sorta di volontà creatrice, lo scrittore che passa dal compilare un romanzo storico allo scrivere un romanzo in cui racconta la sua vita, dando libero sfogo alla sua forza creatrice. Cito qui per concludere una cosa che Carmelo Bene riporta da Nietzsche: "Bisogna smettere di produrre capolavori, bisogna essere dei capolavori".
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