Il cuoco, il ladro, sua moglie, l'amante (1989)

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maldoror.
00venerdì 19 dicembre 2008 18:01
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Personalmente lo considero il migliore di Greenaway, se non altro quello che preferisco e forse uno dei pochi che amo veramente (forse insieme a L'ultima tempesta e I misteri...), proprio perchè ritengo che in questo film il regista dia pieno sfogo alla sua visionarietà esagitata, febbrile e estremamente suggestiva, che, pur essendo certamente funzionale alla narrazione, non è comunque appesantita da quel cerebralismo ipertrofico che a caratterizza gran parte dei suoi film (compreso Il ventre dell'architetto, che è uno di quelli che amo di meno, anche se forse dovrei rivederlo), generando una sorta di saturazione e ottundimento emotivo, che li rende, almeno per quanto mi riguarda, di una pesantezza soporifera.
Inoltre, ne Il cuoco c'è anche un'impostazione teatrale (suggerita dalla chiusura finale del sipario, ma anche lo stesso Greenaway ha affermato di essersi ispirato al teatro elisabettiano, mi pare), che conferisce alla messinscena un respiro piuttosto ampio, una dimensione più "umana", più concreta, volendo anche più cinematografica, laddove negli altri lavori le immagini presentano una piattezza quasi televisiva, oltre ad essere più dei geroglifici visivi, delle costanti, ipertrofiche e masturbatorie allegorie visive (per carità, con ciò non voglio dire che il suo cinema sia brutto, parlo di gusto personale).

Ne Il cuoco, il ladro, sua moglie l'amante, direi che è abbastanza centrale una delle principali ossessioni del regista, presente anche ne Il ventre dell'architetto, cioè la contrapposizione fra la materialità, intesa come tutto ciò che riguarda l'aspetto "de-sublimato" della condizione umana, quindi l'animalità, la più bassa istintualità, l'eros ecc., e la sublimazione/astrazione degli istinti nella cultura e nell'arte.
Questa contrapposizione di base trova espressione in quella fra i due personaggi maschili principali del film, ovvero il ladro e l'amante. La contrapposizione fra i due rimanda a quella fra natura e cultura, in quanto il primo sembra incarnare la condizione primitiva/infantile dell'uomo, sia da un punto di vista sociale che psichico, mentre il secondo quella matura, adulta, che può essere fatta coincidere con l'Illuminismo e la "scoperta" della Ragione. Il primo presenta infatti tutti i tratti tipici dell'infantilità: l'elementarità della psicologia e delle reazioni emotive, che non riesce a tenere a freno (che si contrapongono alla pacatezza e riflessività che caratterizzano il comportamento del secondo), la tendenza a ricercare egoisticamente il piacere materiale (il cibo e il sesso), la prepotenza, il fatto che tratti la moglie come una madre (lei racconta un aneddoto secondo cui egli la costringerebbe a "pulirlo" ogni volta ritornati a casa dal ristorante) e che la usi sessualmente sempre per procurarsi piacere (la costringerebbe a masturbarsi con giocattoli e oggetti vari), contrapposti invece al profondo rispetto e alla comprensione che l'intellettuale le dedica, una volta divenuti amanti. In ciò credo sia presente un'altra tematica greenawayana, quella dell'infantilità del maschio, contrapposta alla maturità della donna, e quindi la sostanziale incomunicabilità e incompatibilità fra i due sessi (tematica abbastanza centrale in Giochi nell'acqua, e presente mi pare anche ne Il ventre dell'architetto).
Ma l'infantilità del "ladro", si esprime forse soprattutto nel desiderio di onnipotenza, e quindi nel fatto che egli sia un "potente", e in ciò è presente l'aspetto politico del film, che, che sangfroid lo voglia o no ( [SM=g27987] ), è, secondo le parole dello stesso Greenaway, una denuncia dell'Inghilterra tatcheriana, ovvero della cultura grettamente materiale e volgare propria del tatcherismo, incarnata appunto dal personaggio di Albert, il ladro; dunque, vi è ancora una contrapposizione fra il potente e l'intellettuale, fra la materialità-infantilità del primo e la spiritualità-maturità del secondo; e ciò rimanda, ulteriormente, alla contrapposizione fra irrazionalità e ragione, fra l'oscurantismo del potere e la luce della ragione, che rimanda ancora una volta a una contrapposizione fra l'età infantile dell'uomo e quella adulta (che coinciderebbe con l'Illuminismo).
Ciò credo sia rappresentato dal fatto che l'intellettuale sia un amante della letteratura francese del Settecento (almeno mi pare di ricordare), e soprattutto nel fatto che il ladro lo ucciderà facendogli ingoiare le pagine di La rivoluzione francese, che si dirà essere il suo libro preferito, e ciò rimanda natualmente alla Ragione dell'Illuminismo che si contrappone all'irrazionalità e all'arbitrarietà del potere. Inoltre, il fatto che il ladro trasformi in cibo le pagine di un libro, secondo me significa che egli tende a de-sublimare la cultura, a riportare ciò che è sublimato in una dimensione puramente materiale (prima infatti ordinerà al cuoco di cucinargli un libro sottratto proprio all'intellettuale). Mentre invece, è probabile che, il fatto che l'intellettuale venga ingozzato con le pagine di un libro, stia a significare che egli è l'espressione di un connubio fra il naturale e l'artificiale, inteso sempre come sublimazione.

Ma questa contrapposizione trova espressione anche a livello cromatico: tutto il film è infatti strutturato sul contrasto fra il rosso acceso, sanguigno, dell'interno del ristorante, che è il regno di Albert, e i colori freddi e neutri che invece dominano i luoghi in cui la moglie di Albert e l'intellettuale hanno i loro incontri amorosi. Prima c'è il bagno, caratterizzato da un turchese celestiale e "paradisiaco", che si contrappone al rosso infernale della sala da pranzo. Il bagno è il luogo in cui ci si "depura", in cui termina il ciclo vita-morte, rappresentato dall'espulsione del cibo (vita) che, una volta trasformato in escremento (morte), ha esaurito appunto il suo ciclo vitale; il fatto che i rapporti sessuali fra i due amanti abbiano luogo nel bagno del ristorante, è proprio l'espressione del loro desiderio di allontanarsi dall'"inferno" della pulsione e della animalità, e quindi di allontanarsi dal mondo di Albert, simboleggiato appunto dal rosso acceso delle pareti del ristorante, allontanarsi quindi dal caos dell'istintualità in cui l'eros è sempre connesso alla morte, per assurgere a una sorta di trascendenza, in cui gli istinti si allontanino dalla pulsione di morte mediante la loro sublimazione.
I loro incontri, infatti, avverranno prima nell'azzurro paradisiaco del bagno, poi nel verde freddo della cucina, e infine, dopo essere passati attraverso la putrefazione della carne e la morte quindi della dimensione animale (il viaggio nel furgone con la carne avariata), raggiungeranno, nudi, come Adamo ed Eva, il "paradiso terrestre" della biblioteca, nella quale si esprime proprio la tensione dei due verso la trascendenza, rappresentata dalla sublimazione degli istinti nella cultura.
Ma la contrapposizione alla base di tutto il film, trova espressione anche nei movimenti di macchina su cui il film è strutturato. In tutta la prima parte assistiamo infatti a dei movimenti orizzontali e frontali, dal parcheggio al ristorante al bagno, e viceversa. In questa orizzontalità si esprime l'unidimensionalità del mondo di Albert, la dimensione meramente terrena negatrice di qualunque tentativo di trascendenza culturale-spirituale, la soppressione di qualunque possibilità di fuga "verticale", insomma, si esprime quello schiacciamento e quella compressione dell'individuo voluto dal potere. Ma questa orizzontalità dei movimenti di macchina, comincia a terminare non appena si inserisce nella vicenda il personaggio dell'intellettuale, che appunto provoca una rottura all'interno del mondo di Albert.

A questo proposito credo di aver individuato in questa strutturazione del film, e in particolare nella contrapposizione fra il ristorante e la biblioteca, un riferimento al concetto leibniziano di monade, al quale è possibile che Greenaway abbia voluto rimandare.
Leibniz concepiva la monade come composta da una parte "bassa", cioè la pura materia, e una parte alta, l'anima. Le due parti in realtà sarebbero in collegamento, in quanto il pensiero di Leibniz penso possa essere considerato come una sorta di sintesi fra il dualismo platonico e la coincidenza tra potenza ed atto propria del pensiero aristotelico. Le due parti, la materia e lo spirito, non sarebbero infatti drasticamente separate, ma anzi coinciderebbero, in quanto nell'anima si esprime la potenza, ovvero la formazione della materia, e la materia dunque rappresenterebbe un'attuazione della potenza-anima (semplificando un po'). Nell'anima sarebbe quindi contenuta in potenza la materia e viceversa. Inoltre, la celebre formula leibniziana della monade "senza porte e senza finestre", riguarderebbe la componente spirituale e astratta della monade, e non quella materiale, perchè solo con la presenza dell'anima Leibniz riesce a spiegare il principio vitale di una unità immutabile e indiscernibile come la monade (una cosa "senza porte e senza finestre", che quindi non comunica con l'esterno, nel quale viene individuata l'unità più piccola di cui la materia sarebbe costituita, una sorta di atomo insomma, non potrebbe spiegare il principio del mutamento, possibile secondo il filosofo, soltanto con la presenza di un'essenza indivisibile nella quale si esprima in potenza tutto l'essere, e quindi la dimensione materiale, e quest'essenza Leibniz la fa coincidere appunto con l'anima, che appare quindi divisa dalla parte materiale ma al contempo in comunicazione con essa).
Dunque, Leibniz usa l'immagine di una casa a due piani per riferirsi a questa dualità insita nella monade stessa: al piano di sotto ci sarebbe la materia, nella quale si esprime una tensione verso il basso; in questo piano è ancora possibile un'apertura verso il mondo esterno, senza la quale non sarebbe possibile il mutamento; dunque, Leibniz simboleggia questa apertura del "piano di sotto" verso l'esterno con la presenza di quadri: l'immagine, e quindi l'arte visiva, sarebbero "fessurate", nell' immagine si esprimerebbe cioè un'apertura verso l'esterno, poichè essa (almeno prima di certe correnti di astrattismo pittorico) rimanda sempre a qualcosa che è esterno ad essa, che è altro da sè, qualcosa insomma che si trova nel mondo esterno. Dunque, all'immagine viene contrapposto il segno, ad esempio le lettere dell'alfabeto o i simboli matematici, che invece non rimandano a niente di esterno ad essi, e che quindi si concludono in sè stessi. Pertanto, mentre le pareti del piano di sotto, nel quale è ancora possibile uno scambio con l'esterno, sarebbero, secondo la metafora di Leibniz, tappezzate di quadri, il piano di sopra, cioè l'anima, totalmente privo di una comunicazione con l'esterno, sarebbe tutto attraversato da segni, da lettere ecc.; il piano di sopra, cioè l'anima, sarebbe quindi la "stanza della lettura", contrapposta alla "stanza dei quadri" del piano di sotto.
Ora, a mio avviso, nel film assistiamo proprio a questa contrapposizione: nel "piano di sotto", cioè il ristorante, che è il mondo di Albert, e che esprime appunto la dimensione materiale, è infatti presente un quadro (mi pare che sia La lezione di anatomia del dottor Nicolaus Tulp, di Rembrant, ma non vorrei sbagliarmi), mentre il "piano di sopra", cioè la dimensione trascendente, quella alla quale i due amanti anelano e in cui si rifugeranno, è appunto una biblioteca, la stanza della lettura di cui parlava Leibniz.
Ciò viene testimoniato anche dai movimenti di macchina, caratterizzati nella prima parte da una implacabile orizzontalità (che rimanda, come si è detto, alla dimensione puramente "terrena" e anti-trascendente del mondo di Albert), che viene spezzata quando entra in scena l'intellettuale, nel quale si esprime proprio quella tensione dell'uomo verso la trascendenza e quindi la verticalità. Inoltre, c'è anche da sottolineare come questa dicotomia sotto-sopra, sia anche sottolineata da un rimando cromatico a quella inferno-paradiso: inizialmente infatti, il rosso sanguigno del ristorante-inferno, viene contrapposto al celeste del bagno pubblico-paradiso, ma poi, il rosso del ristorante-piano di sotto-materia, trova una corrispondenza col rosso della biblioteca-piano di sopra-spirito, e in ciò, secondo me, si esprime proprio quella contrapposizione che però presuppone un'identità sostanziale e un collegamento fra la componente "materica" della monade e quella spirituale, laddove nella prima sarebbe presente la seconda e viceversa.
Questi riferimento alla monade leibniziana (che, vi giuro, è un'intuizione mia e non l'ho fregata a nessuno!!!), farebbe pensare a un sostanziale barocchismo del film, visto che, come sostiene Deleuze (per caso si era capito che sto leggendo il libro di Deleuze su Leibniz?), il pensiero leibniziano è alla base del Barocco, nella sua filosofia e nell'espressione artistica. Ma nel film, il barocchismo, che si esprime anche nella sovrabbondanza visiva conferitagli dalla fotografia sontuosa e antinaturalistica di Sacha Vierny e dai costumi piuttosto tendenti alla fastosità, così come un figurativismo onirico che sembra di matrice tipicamente surrealista, si scontrerebbe col rigore assoluto e la razionalità della messinscena, contrasto che credo caratterizzi tutta l'opera di Greenaway, tanto che qualcuno lo ha definito "un surrealista che gira col rigore di un razionalista del Settecento", e tale contrapposizione credo si esprima anche in quella sintesi tra barocco e minimalismo (per carità, parole di orpheus, io di musica non ci capisco una mazza) presente nella colonna sonora di Michael Nyman, che credo sia una delle più belle del musicista, e probabilmente quella che preferisco in assoluto dei film di Greenaway.
Per concludere, resta solo da analizzare la figura del cuoco, e per fare ciò magari riporto le parole dello stsso Greenaway:"nel film "Il cuoco, il ladro, sua moglie l'amante", il cuoco c'est moi! Prendo i miei ospiti, li porto al cinema, li faccio sedere e annuncio loro: ecco la cena, ecco il film. Fare accomodare la gente in una sala è come metterli attorno a una tavola. Ecco qui, vi presento questa cosa, digeritela. Se volete vomitare, potete andare alle toilettes...".

sgubonius
00sabato 20 dicembre 2008 01:43
Ho trovato il coraggio di leggerlo...

Allora direi che è un'analisi molto bella da un punto di vista diciamo ermeneutico, e che in qualche modo è un approfondimento dell'interpretazione più semplicistica che si limita alla dicotomia materiale/spirituale dato che porta nel calderone una delle trattazioni di questo argomento fondamentale come quella di Leibniz.

Una piccola precisazione sarebbe forse che mentre in Leibniz sostanzialmente mi pare (conosco poco o niente L., all'interrogazione mi ricordo ancora mi chiese la Logica e io tentai di inventare con scarsisssssimo successo, voto=5!) si tratti di una divisione più che altro metafisica che non pone reali contrasti, anche perchè quando si vive nel miglior mondo possibile non c'è molto da migliorare e quindi mi sa che non c'è etica, mentre nella visione più grezza se vuoi di greenaway la tendenza è quella di mostrare la superiorità della scienza e della sublimazione.

Detto questo saprai bene che io sono per l'esatto opposto. Animalitas, apparenza, pulsioni, orizzontalità!! Sarà mica un caso che tutto Otto e Mezzo lui tenta di volare verso la cima dell'impalcatura mentre alla fine il girotondo è tutto sul piano orizzontale!!
Rimaniamo fedeli alla terra!!

Riguardo al film più strettamente, il quadro mi pare fosse questo (link) rappresentante appunto un banchetto, e direi che l'uso dei colori è sicuramente molto significativo ma decisamente eccessivo, cioè a me è sembrato eccessivo marcare tanto le differenze con luci tipo neon di colori primari, si poteva fare con una certa sensibilità usando colori di scenografia anzichè andare proprio alle luci così. Nel ristorante il rosso è molto ben creato, ma in altri casi non si è impegnato tanto e ha solo usato luci colorate nel buio!
Mi sa fra l'altro che questa cosa del colore è una mania tutta inglese (Jarman, Russell)
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