Au Hasard, Balthazar (1966)

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sgubonius
00venerdì 26 dicembre 2008 21:57


Storia semplicissima: la vita di un asino fino alla morte.
Linguaggio semplicissimo: Riprese spesso statiche, niente musica, dialoghi striminziti.
Risultato ottimo.

Ancor più che nel simile Mouchette (che a mio avviso accentrava troppo l'attenzione sulla bambina e sul suo dramma distraendo dal discorso generale) il protagonista, un asino che passa di padrone in padrone, di maltrattamento in maltrattamento, è un vero e proprio specchio del mondo. Tutto avviene intorno a lui, lui è passivo, da spettatore sopporta con la docilità tipica degli asini le ingerenze degli uomini.
Il risultato è un semplice ma tagliente spaccato della bruttezza dell'uomo, che non sa vivere come l'asino e si affanna per lo più a fare del male e a peggiorare la sua situazione come il famoso Barone di Munchausen che nelle sabbie mobili pretendendo di sollevarsi tirandosi per i capelli si dimena e non fa altro che andare a fondo più rapidamente. L'etica dell'asino, notoriamente poco "intelligente", risulta al confronto di una saggezza secolare.

Bresson stesso parla in questi termini della nascita di questo film:
"il punto di partenza è stato una visione folgorante, di un film nel quale l'asino sarebbe stato il personaggio centrale". Una rivelazione non dissimile, almeno per intensità e violenza, si era affacciata (e il regista lo ricordava esplicitamente) al principe Miskin "l'idiota" di Dostoevskij: "Ricordo: la tristezza in me era intollerabile; avevo perfino voglia di piangere; ero sempre pieno di meraviglia e di inquietudine; su di me aveva agito in modo orribile il fatto che tutto ciò era straniero; questo lo compresi. L'ambiente straniero mi uccideva. Ricordo che mi svegliai del tutto da questa tenebra una sera a Basilea, al mio arrivo in Svizzera, e mi svegliò il ragliare di un asino sul mercato cittadino. Quell'asino mi colpì enormemente e, chi sa perché, mi piacque in modo straordinario e, nello stesso tempo, a un tratto tutto parve schiarirmisi nel cervello". E Bresson: "Questo film mi è venuto da solo, circa dieci anni fa, e mi ha tormentato. Ho visto tutto a un tratto una testa d'asino riempire lo schermo. Gli occhi di un asino, il suo sguardo". E ancora: "...avevo letto L'idiota, ma senza fare attenzione (a quel passaggio, ndr). Poi, due o tre anni fa, rileggendolo, mi sono detto: Ma quale passaggio! Ecco l'idea meravigliosa! [...]. Assolutamente meravigliosa: illuminare la figura di un idiota attraverso un animale, fargli vedere la vita attraverso questo [...]. E paragonare questo idiota (ma voi sapete bene che egli è, di fatto, il più fine, il più intelligente di tutti), paragonarlo all'animale che passa per idiota e che è il più fine, il più intelligente di tutti. È magnifico!" (in Adelio Ferrero, Robert Bresson, Il Castoro Cinema, Gennaio 1976)
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